Cento passi sono una distanza, un percorso e un precipizio, ma sono anche il cortile
che il giovane Massimo Santamaria, ventenne siciliano detto l’Americano, deve attraversare per esplorare la sua sessualità, per trovare quel mondo migliore che non ha mai visto, né intorno né dentro di sé.
Massimo cerca la sua America nel modo sbagliato, nei peccati della carne e nei vicoli dei quartieri popolari che il caso, balordo regista, ha voluto fargli scoprire.
Un viaggio sporco, osceno, deviato, obbligato, alla scoperta della sua sessualità; un percorso trasgressivo, agro e piccante, per un giovane che sta ancora cercando se stesso e un mondo che possa appartenergli; un viaggio che al posto di misurare chilometri diventa una distanza da percorrere in appena cento passi: ogni giorno, per anni.
Massimo scopre la sua omosessualità in maniera del tutto inattesa e straordinaria. Sebbene indotta, lo porta ad amare in modo sincero Corrado, chiamato a percorrere un impervio sentiero simile al suo. Quell’intesa sessuale, forte e prepotente, diventa ben presto sentimento che nutre il pallore di giorni noiosi e infiniti, capace di annebbiare i ricordi che lo hanno portato alla sua maturità sessuale.
Massimo torna da quel viaggio come uomo consapevole, rinnovato e finalmente maturo, pronto a cercare e lasciarsi trovare da un nuovo amore.
C’è tutto questo nel corpo e nel cuore di quel ragazzo fragile che tutti chiamano l’Americano, perché c’è sempre un’America da poter scoprire, senza neppur dover viaggiare. Basta avere il coraggio di vivere.
Danilo Runfolo nasce a Messina il 24 marzo 1972.
Il suo primo romanzo autobiografico, dal titolo Rewind, viene pubblicato dalla Montag Edizioni nel 2002. In seguito scriverà diversi racconti brevi e un romanzo erotico autoprodotto. Nel 2017 pubblica con ErosCultura il suo secondo erotico dal titolo Io sono Valeria – Una puttana. Scrive anche un romanzo autobiografico dal titolo Lui è infinito, che verrà pubblicato dalla GDS Editrice tra marzo e aprile del 2018.
La sua scrittura è accompagnata da una nostalgica vena sentimentale, figlia di quel crudo guardarsi dentro che ritiene vitale.
Considera la solitudine intellettuale dell’uomo un dono, non la sua condanna, e si riconosce nel pensiero tormentato di Pier Paolo Pasolini, nella sua cupa visione della società e nella sua irreversibile deriva interiore che scaturisce da ogni forma di globalizzazione, sia essa etica, morale, politica o religiosa.
Dice di sé: Scrivere è l’unico modo che ho per parlare a me stesso senza il bisogno, né il peso, di guardarmi allo specchio; ed è anche il modo migliore per dar voce ai personaggi peggiori, persino di me.